lunedì, ottobre 10, 2005

Sulla percezione di se stessi...

Deep Blue nel 1997 batté il più forte scacchista umano del mondo, Garry Kasparov, ma nessuno direbbe mai che quella macchina era una macchina pensante. Forse il calcolatore dell'IBM aveva dimostrato di avere un comportamento intelligente (meglio una abilita') superiore allo sfidante, il problema pero' e' che non avesse la minima idea ne' di stare giocando a scacchi ne' quantomeno di esistere. Nell’ambito delle tematiche della intelligenza artificiale ci si sta interrogando su cosa s’intende per coscienza. Ovviamente qui non si parla di coscienza morale (anche se direi che qualcuno ne parla, ma per me l'etica di una macchina e' ancora un concetto piuttosto difficile da digerire), bensì la consciousness, cioe' la capacità di un soggetto di fare esperienza dei propri pensieri, di se stesso e del mondo. La coscienza quindi come percezione di se stessi come esistenti nel mondo e della differenza e somiglianza con gli altri uomini. Concetto in un certo senso gia' presente nella cibernetica con le idee di ricorsivita', auto-referenza e autologia, concetti che hanno a che vedere con sistemi in grado di operare su se stessi. Quello di cui vorrei scrivere ora e' proprio qualcosa sui concetti di introspezione e riflessione, ovviamente da un punto di vista piu' banale e meno complesso, non parlero' quindi di coscienza e riflessione sul pensiero, anche se i processi ricorsivi c'entrano comunque.

Partiamo dal molto banale, qual'e' l'immagine di se stessi? Dal punto di vista strettamente fisico tale immagine piu' variare completamente, si dimagrisce e si ingrassa, si cambia colore dei capelli e la chirurgia plastica puo' fare la differenza, ma la nostra immagine, almeno quella percepita da noi stessi come cambia? Ora nel mio caso ultimamente ho perso piuttosto peso, la bilancia dice che sono dimagrita di 10 kg, la cintura di jeans mi ricorda a scadenza settimanale che devo fare un nuovo buco, i vestiti di un tempo riniziano ad entrarmi. Questi sono dati oggettivi esterni, qualcosa che possiamo misurare ed osservare a livello sperimentale e che sono indice di un cambiamento. Inoltre se guardo alcune mie vecchie foto (ovviamente non troppo vecchie) inorridisco e vedo una persona che non riconosco. Da notare bene che guardare una foto, non e' come riflettere su se stessi od osservare se stessi, e' sempre un'osservazione di un'entita' esterna. Comunque, per arrivare al punto della questione, se io mi guardo allo specchio non noto nessuna differenza, vedo sempre questa identita' (che dovrei essere io, ma chi me lo assicura?), sempre uguale, con nessuna differenza sostanziale, forse sono diventata un bignami di me stessa, ma la mia percezione di me non e' cambiata affatto. Quando sentivo parlare di anoressia e vedevo donne scheletriche dire che quardandosi allo specchio continuavano a vedersi grasse, si pensa subito che sia un problema mentale legato alla malattia, ma non sara' soltanto che la percezione che abbiamo di noi, per quanto sbagliata che sia, resta immutata?

A questo punto visto che abbiamo comunque bisogno di una percezione dell'immagine di noi stessi a volte andiamo cercando di comprendere e di percepire la nostra immagine attraverso altre macchine pensanti, ovvero attraverso l'interazione col mondo e coi suoi abitanti. Un processo direi ancora piu' rischioso e fuorviante. Primo per poter avere un'idea dell'immagine che di noi hanno gli altri, non potendo entrare nella loro testa, abbiamo bisogno di comunicazione. A questo punto i filosofi del linguaggio mi potranno dire che per quanto si possa avere lo stesso background culturale e sociale, per quanto si usi lo stesso linguaggio c'e' sempre un'ambiguita' semantica nell'interpretazione. Cioe' noi interpretiamo le frasi degli altri e quindi la descrizione di noi stessi secondo il modello mentale che abbiamo del linguaggio e quindi anche secondo il modello mentale che abbiamo di noi? Questo tipo di processo puo' diventare una catena infinita di ricorsioni, noi che interpretiamo noi stessi a partire dall'interpretazione che noi diamo dell'interpretazione che gli altri ci danno e cosi' via. E tutto questo senza raggiungere nessun risultato. E allora? ? E allora visto che avere un comportamento intelligente e’ diverso dall’avere una coscienza di se, in alcuni casi e’ meglio non pensarci.

1 commento:

Ruthven ha detto...

Mi associo: gran bel post! Alvalitu sarebbe felice di leggerti.

Per non riprendere tutto quello che hai scritto (c'è parecchia carne sul fuoco), mi limito a commentare sull'introspezione.

Si tratta, imho, semplicemente della visione che abbiamo dei nostri processi mentali. Gestiamo l'introspezione come si gestisce l'immagine che si ha dei negozi sotto casa.
Ovviamente questa immagine puo' essere piu' o meno accurata; dipende della "conoscenza" che abbiamo di noi stessi. Non ci vedo più di tanto (che poi è già molto!), oltre a quanto interessante è analizzare questa rappresentazione della nostra realtà interiore.